Gli “incandidabili” di Castelvetrano. Fermi per un giro, come al Monopoli

A meno di ricorsi in appello, l’ex sindaco di Castelvetrano Felice Errante e gli ex consiglieri Calogero Giambalvo, Enrico Maria Adamo e Franco Martino, non potranno partecipare alle prossime elezioni regionali, provinciali e comunali. Così ha deciso il Tribunale di Marsala, in seguito allo scioglimento del Comune per mafia. L’incandidabilità era stata chiesta anche per altre nove persone, che invece sono rimaste candidabili: gli ex consiglieri Francesco Bonsignore, Gaspare Varvaro, Salvatore Vaccarino e gli ex assessori Giuseppe Rizzo, Girolamo Signorello, Maria Rosa Castellano, Angela Giacalone, Vito Fazzino e Daniela Noto.

Quest’ultima ha anche comunicato che farà causa al Ministero per risarcimento danni, visto il difficile periodo attraversato in seguito alla vicenda giudiziaria.

Poca cosa rispetto ad Antonio Vaccarino, l’ex sindaco di Castelvetrano, padre del consigliere Salvatore che, ancor prima della sentenza sull’ incandidabilità, aveva invece querelato la prefettura di Trapani: secondo “Svetonio” (è il nome che Matteo Messina Denaro aveva dato in passato ad Antonio Vaccarino, durante il lungo scambio di pizzini avvenuto di concerto con i servizi segreti di Mario Mori per “convincere” il latitante a costituirsi), il prefetto avrebbe travisato la realtà dei fatti, rilevando che Salvatore Vaccarino “è figlio dell’ex sindaco che in passato è entrato in contatto con il boss latitante Matteo Messina Denaro”.

Altra reazione era invece arrivata da cinque candidati consiglieri della coalizione di Errante-Lo Sciuto per le amministrative del 2017. Santa Giovanna Corso, Rosalia Ventimiglia, Niccolò Jorio Lipari, Liliana Monteleone e Maria Anna Piazza avevano fatto ricorso al Tar, ritenendo lo scioglimento ingiusto perché a pochi giorni dal voto e poco rispettoso dei loro sforzi in termini di tempo e denaro. Il 28 marzo, il Tar dovrebbe pronunciarsi nel merito.

Ad ogni modo l’incandidabilità dei quattro, che staranno fermi per un giro come a Monopoli, è riferita a tutte le prossime tornate elettorali della regione di appartenenza(escluso quindi il parlamento nazionale). Una sorta di sanzione, dichiarata in sede civile, molto diversa dalle pene accessorie previste invece dal codice penale.

Quello che ancora, in generale, si fa fatica ad accettare, è che la misura dello scioglimento è un atto caratterizzato da una certa discrezionalità. Non è affatto necessaria la rilevanza penale dei comportamenti, dal momento che sono sufficienti gli indizi da cui emerga un possibile asservimento degli amministratori locali alla criminalità organizzata. Indizi che, documentati e concordanti tra loro, indichino l’influenza della mafia sull’attività amministrativa. E ciò anche senza le prove che accertino incontrovertibilmente la volontà degli amministratori di prestare il fianco alle richieste della criminalità.

Intanto, al di là dei contenuti già ampiamente diffusi della relazione prefettizia, è evidente come i politici “colpiti” dalla sentenza di incandidabilità siano stati a vario titolo protagonisti di fatti emersi prepotentemente anche dalle cronache nazionali.

E se l’ex sindaco Errante aveva le responsabilità più apicali dell’amministrazione comunale, i fatti dei mesi scorsi che avevano coinvolto gli ex consiglieri Giambalvo, Martino ed Adamo, a causa della loro singolare particolarità, si erano imposti ad un interesse tale che aveva travalicato i confini dell’isola.

Tutti fatti che non hanno ricevuto condanne di tipo penale che, come dicevamo, non sono indispensabili ai fini dello scioglimento, arrivato dopo il sequestro di beni a carico degli imprenditori Giovanni ed Enrico Adamo per 5 milioni di euro, frutto di un’attività d’impresa che gli investigatori hanno collegato all’influenza della famiglia Messina Denaro, alla quale i due imprenditori sarebbero molto vicini.

Enrico Adamo, era consigliere comunale a sostegno di Errante (e assessore di Pompeo, nella precedente consiliatura). Ed è con Errante che ha incontrato, durante la campagna elettorale del 2012, Lorenzo Cimarosa, (cugino acquisito di Matteo Messina Denaro, morto nel gennaio scorso, dopo aver trascorso gli ultimi anni della sua vita a collaborare con la giustizia). Tra le dichiarazioni del pentito, ce n’é  una verbalizzata nel 2016 dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Palermo: “Venne a chiedermi i voti con Enrico Adamo, pure lui è impegnato in politica – aveva raccontato Cimarosa – Ci dissi io non posso votare, lo sai, però io ho 30 operai, posso parlare con loro e vediamo cosa posso fare. Tu basta che fai le cose giuste per tutti, diciamo, io problemi non ne ho, posso parlare ai dipendenti”.

Adamo sarebbe stato anche la testa di ponte tra un’impresa ragusana per la costruzione del centro polivalente del quartiere Belvedere e lo stesso Cimarosa. Quando il prefetto di Ragusa inviò al comune di Castelvetrano l’interdittiva antimafia per la sospensione dei lavori, i cittadini non avevano ancora appreso che l’infiltrazione mafiosa al cantiere era garantita proprio dal consigliere Enrico Adamo.

Ma prima di parlare con Errante, Cimarosa ha aggiunto che era stato chiamato già da Franco Martino e Peppe Orlando, che gli avevano detto che stavano raccogliendo i voti per il futuro sindaco.

Franco Martino, che diventerà poi consigliere comunale con ben 415 voti, è l’interlocutore di Calogero Giambalvo quando, intercettati, quest’ultimo gli racconta in macchina dei suoi incontri con Matteo Messina Denaro e con il padre don Ciccio, oltre all’eroica ipotesi di farsi 30 anni di galera pur di nascondere il boss alle forze dell’ordine.

Ma niente di che… “Cugghiuniava”, aveva spiegato Martino: “Così mi disse quando scese dalla macchina”. E infatti Giambalvo, dopo essere stato assolto, era tornato in consiglio comunale. Fino a quando, un servizio de Le Iene non aveva provocato il tardivo autoscioglimento del massimo consesso civico.

A favore di Martino, per quello che può valere, c’è la circostanza che almeno quando Giambalvo ipotizzava l’omicidio di uno dei figli di Cimarosa in modo da scoraggiarne la collaborazione, l’interlocutore non era lui, ma un cognato dello stesso Giambalvo.

Certo, al di là dei fatti emersi e del comprensibile lasso di tempo che occorrerà per un’accettabile metabolizzazione del prossimo futuro amministrativo della città, ci sembra interessante riportare una breve riflessione del sostituto procuratore di Agrigento, Salvatore Vella, durante un dibattito di qualche settimana fa che ha preceduto la rappresentazione dello spettacolo teatrale “Fango”, del regista Giacomo Bonagiuso al parco archeologico di Selinunte:

Quello dello scioglimento dei comuni è uno strumento che andrebbe perfezionato. Chiunque abbia lavorato in un comune sa benissimo che i politici eletti hanno una loro importanza, ma la struttura fondamentale di un comune e la sua gestione spesso è in mano a dirigenti amministrativi che, anche se guadagnano duemila euro al mese, hanno ville da due milioni di euro. Forse, in un comune sciolto per mafia, lasciare gli stessi dirigenti che lo gestivano prima, potrebbe essere un problema molto serio”.

Nella stessa serata il commissario Caccamo, da circa tre mesi alla guida del Comune dopo lo scioglimento, ha sottolineato come questo non debba essere visto “come un’onta infamante, oppure come un marchio che viene impresso sulla collettività. Ma come un’occasione da non lasciarsi sfuggire in modo da avviare un percorso di rinnovamento. La collaborazione dei castelvetranesi con la commissione straordinaria – ha aggiunto Caccamo – in questo momento rappresenta una formidabile occasione da cavalcare immediatamente. Soprattutto perché la finalità di una commissione non è quella di invadere un campo che appartiene all’organo che viene eletto democraticamente dal popolo, ma di collaborare per un risanamento. Ecco perché mi sento di rivolgere ai castelvetranesi proprio un appello alla collaborazione, per tracciare un solco concreto”.

Fonte: http://www.tp24.it

 

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